Visualizzazione post con etichetta educazione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta educazione. Mostra tutti i post

sabato 7 gennaio 2017

COME FACCIO A FAR USCIRE MIO FIGLIO DAL LETTONE

bedsharing come uscire dal lettone


Oggi pubblichiamo un articolo che la Dott.ssa Roberta La Barbera ha pubblicato sul sito Professione Genitori.
L'articolo invita alla riflessione sul cosleeping, offrendo delle risposte ad alcuni degli interrogativi che tutti i genitori prima o poi si pongono.
Per saperne di più Clicca qui.

martedì 29 novembre 2016

INCOERENZA EDUCATIVA. Quando mamma e papà non sono d'accordo.



Una delle problematiche più diffuse tra le coppie di genitori nell’educazione dei propri figli è l’incoerenza educativa.
Cosa intendo per “incoerenza educativa”?
Intendo con questa espressione la differente concezione di cosa voglia dire educare un figlio, quali regole fargli seguire, come gestire i rimproveri, i cosiddetti “capricci” e così via…
Quante volte ci è capitato di assistere, o vivere, situazioni in cui uno dei due genitori rimprovera il figlio e l’altro interviene disconfermando e screditando il coniuge? Oppure in cui ad esempio la mamma si lamenta del disordine in casa e il papà dice al figlio con aria di complicità “lasciala stare lo sai che è esagerata!”. Ammesso che la mamma possa davvero essere “esagerata” nel pretendere l’ordine da parte di un bambino, un intervento come quello del papà a cosa serve? A chi serve? All’interno di quale relazione si inserisce?
È un intervento che nulla ha a che fare con il bambino, che non riguarda lui, ma che lo utilizza in quanto strumento per mettere in valore se stessi a scapito dell’altro o per colpire l’altro. Io parlo con il bambino, screditandoti, ed in questo modo uso mio figlio come strumento per far sì che il bambino abbia di me un’immagine positiva o per dirti che non approvo il tuo comportamento, che non condivido le tue priorità. In sintesi “io mi valorizzo e muovo una critica nei tuoi confronti, ma non lo faccio direttamente, ma attraverso il nostro bambino”.
Questo tipo di comportamento, purtroppo molto più frequente di quello che si creda, se è vero che crea una complicità tra uno dei genitori ed il figlio, non aiuta di certo il bambino nel suo sviluppo e nella sua crescita. Il bambino, infatti, ha più bisogno della complicità tra i suoi genitori che della complicità tra uno dei due e lui, perché la complicità tra i due genitori, l’intesa sullo stile educativo gli dà una sicurezza, un punto di riferimento stabile, al quale contrapporsi se è il caso, facendo i capricci per esempio, ma in ogni caso non lo confonde, non lo destabilizza. Ed è questo quello che conta! Poiché un bambino destabilizzato, che non ha dei riferimenti chiari e precisi, che non capisce cosa sia giusto e cosa sbagliato, spesso manifesta questo disorientamento con comportamenti fortemente disturbanti quali iperattivitàaggressivitàimpulsività, tutti comportamenti che mettono a dura prova gli equilibri familiari, che spesso vengono messi in atto anche nel contesto scolastico, con gli insegnanti, con i compagni, creando al bambino anche grosse difficoltà di socializzazione, di accettazione da parte degli altri.
Ma perché tante coppie non riescono ad avere un unico stile educativo?
Ricordiamoci che ogni mamma ed ogni papà sono stati figli, hanno avuto dei modelli genitoriali e dei modelli educativi che nel momento in cui divengono genitori ritornano, si rendono presenti, in maniera più o meno inconsapevole.
Ed allora avremo chi ha avuto una determinata educazione e ritiene che sia stata giusta e tende a riproporre lo stesso stile e modello, chi vi si contrappone energicamente, chi è alla ricerca di un modello altro, magari informandosi, leggendo, documentandosi.
I guai iniziano quando ci si trova su posizioni nettamente contrapposte, “si mangia seduti a tavola”, “dai ma è piccolo che ci fa se mangia in giro per casa”, “si va a letto presto”, “ma che vuoi che sia se sta alzato ancora un po’”, “non hai rispettato una regola della famiglia ed allora ti darò questa punizione”, “ma quale punizione, che esagerazione!”. Gli esempi potrebbero essere infiniti.
Verrebbe da pensare “poveri figli”! Come può un bambino orientarsi in questa confusione, come può capire cosa fare e cosa non fare, cosa sia giusto e cosa sia sbagliato?
Purtroppo molte volte nelle relazioni familiari si perde di vista il vero obiettivo del creare una famiglia, cioè creare un luogo di scambi affettivi, di comunicazione, di aiuto reciproco, di sicurezza. Molte volte le famiglie si trasformano in veri e propri campi di battaglia, in cui “farsi la guerra”, in cui prevaricare l’altro, imporre il proprio modo di vivere, etc.
Queste dinamiche vengono accentuate con l’arrivo di un figlio. Ognuno dei due genitori penserà di essere nel giusto, che il proprio modo di concepire la crescita, lo sviluppo, l’educazione del bambino sia quello giusto, se l’altro è d’accordo bene, se non è d’accordo sta sbagliando.
È molto difficile mettersi in discussione, pensare che forse si stiano commettendo degli errori, che qualcosa forse vada modificata. Ma purtroppo è l’unica strategia possibile per ritrovare la serenità e per garantire ai nostri figli un luogo sicuro, un luogo protetto, uno sviluppo sereno ed armonico.
Cosa fare allora?
Innanzitutto il proprio modo di concepire la crescita e l’educazione di un figlio va discusso ancor prima che il bambino nasca, è importante anche durante la gravidanza che i due genitori si confrontino su come ognuno di loro vive questo momento, sulle proprie emozioni, sulle proprie aspettative circa la nascita del bambino, su quali saranno le regole della propria famiglia, le priorità da perseguire, etc.
Inoltre è di fondamentale importanza che qualunque screzio nasca, in seguito ad un comportamento del bambino, non venga discusso davanti al bambino, contrastandosi a vicenda, ma “in separata sede”.
Se un genitore fa un intervento e l’altro non è d’accordo in quel momento deve assecondare l’intervento dell’altro, discutendone successivamente e non alla presenza del bambino. Se un bimbo rimproverato dal papà va a rifugiarsi tra le braccia della mamma, è giusto che la mamma lo consoli e lo conforti ma allo stesso tempo non può e non deve criticare il papà che l’ha rimproverato, e viceversa naturalmente.
I bambini sono anche molto più furbi di quello che spesso pensiamo e via via che cresceranno utilizzeranno sempre più a loro vantaggio i contrasti tra i genitori per ottenere ciò che vogliono, per non rispettare le regole familiari. Sapranno benissimo come provocare il padre o la madre, farli adirare ed innescare una lite tra i due e come recita un detto popolare “tra i due litiganti il terzo gode”.
Il problema è che il “godimento” di cui si tratta non è sempre un reale vantaggio per il figlio, a lungo termine. Se non voglio studiare e faccio perdere le staffe a mia madre, a quel punto interviene mio padre e se la prende con lei perché urla sempre, e in tutto questo trambusto io non studio, qual è il vantaggio che ne ottengo? Non studiare! Certo sul momento è un bel vantaggio ma poi?
Tante volte è questo ciò che accade, ci si concentra più sulle relazioni conflittuali che sul reale compito che un genitore ha: garantire al proprio figlio le migliori condizioni possibili perché possa crescere bene e diventare un giorno un adulto capace di costruirsi la sua vita e le sue relazioni affettive.

Dott.ssa Roberta La Barbera
Psicologa e Psicoterapeuta

martedì 8 novembre 2016

L'ORSETTO DELLE REGOLE




Come possiamo far sì che i nostri figli seguano le regole che abbiamo in famiglia?

Quante volte ci ritroviamo a ripete centinaia di volte le stesse cose senza che ciò ottenga alcun risultato?
Possiamo far seguire le regole in due modi: possiamo imporle oppure possiamo trovare una strategia alternativa, sicuramente molto più funzionale ed efficace.
Per esempio, possiamo inventarci “L’ORSETTO DELLE REGOLE”. 
Che cos’è?
L’Orsetto delle Regole (o qualunque altra immagine si voglia usare) è un’immagine raffigurata in un quadretto in casa che viene scelto dai genitori come “LUOGO DELLA LEGGE”.
Qualunque regola vi sia in casa, qualunque divieto obbligo, viene deciso dall’Orsetto delle Regole.
Questa strategia funziona perché da un lato evita l’utilizzo dell’imperativo da parte dei genitori “l’orsetto dice che alle nove bisogna andare a letto” è diverso da “sono le nove, vai a letto”; dall’altro eventualmente sposta l’aggressività del bambino che deve sottostare alla regola, dal genitore all’orsetto; infine fa sì che anche i genitori siano dal canto loro non tanto i depositari del potere, quanto, a loro volta sottoposti alla legge, a delle regole; tutto ciò faciliterà molto il processo educativo.
Spesso la comunicazione tra genitori e figli avviene, infatti, utilizzando l’imperativo “fai quello, fai questo, rimetti in ordine la stanza, lavati le mani”, etc. etc.
Davanti all’imperativo la risposta dei nostri figli è spesso “no”. 
Come mai? 
Perché l’imperativo trasmette un potere dei genitori sui figli, potere che i figli rifiutano, dicono “no” anche solo per il fatto che glielo abbiamo ordinato noi.
Avrete notato tante volte come la stessa cosa detta dal genitore e detta da un’altra persona abbia un valore differente, al genitore viene detto “ no”, se lo dice qualcun altro viene detto “si”.
Questo avviene perché i figli, naturalmente, si oppongono al potere dei genitori, non si sottomettono, si difendono da esso.
Allora è molto più semplice quando dobbiamo chiedere ai nostri figli di fare qualcosa o quando dobbiamo impedire loro qualcosa, non usare l’imperativo ma spostare il luogo delle regole, il luogo della legge. Non più incarnata dal genitore ma esterna ad esso.
Essere sottoposti alla legge significa dover rendere conto a qualcun altrodella vostra attività di genitore, significa che voi non avete un potere di “vita o di morte” sul vostro bambino, ma che c’è qualcuno che è al di sopra di voi, l’Orsetto, che vi controlla e che vuole conto e ragione di come fate i genitori. Non c’è cosa più minacciante, infatti, di una mamma o di un papà onnipotente, che sa tutto e che decide tutto a suo piacimento. 
L’educazione che voi impartite ai vostri figli non è a piacer vostro. Ma è un’educazione finalizzata al suo benessere fisico, psichico e sociale. Voi avete il dovere di garantirgli una crescita sana, serena e di farne un giorno degli adulti capaci di lavorare, di assumersi delle responsabilità, di divenire a loro volta genitori, di instaurare dei legami sociali, di vivere con gli altri, di cooperare, di provare empatia e solidarietà
Se voi vi ergete a capi indiscussi “la legge sono io” sarete per il vostro bambino sempre minacciosi e dalle minacce ci si difende come si può. Al contrario se vi ponete su un altro piano, più limitato, e questo potere lo spostate all’esterno, allora esso sarà più tollerabile e vivibile.
L’Orsetto delle Regole è una strategia che può essere utilizzata con i bambini piccoli, con i ragazzini più grandi il discorso non cambia, nel senso che anche in questo caso non deve essere il genitore il detentore della legge ma per esempio si può, per ogni regola che deciderete di avere in casa, dare una motivazione altra rispetto alla vostra volontà. “Si va a letto alle nove”, il bambino chiederà “perché?”, “perché studi scientifici hanno dimostrato che un bambino di nove anni (per esempio) deve dormire 10 ore a notte e siccome tu ti svegli alle 7.00 allora devi andare a dormire alle nove per poter essere riposato e poter affrontare la giornata!”
“Prima di mangiare ci si lava le mani” è diverso dal dire “vai a lavarti le mani”, la seconda frase è un imperativo dato da un genitore che dà degli ordini, la prima frase, impersonale, apre anche ad una dialettica “sai perché ci si lava le mani? Perché esistono degli animaletti che sono sulle tue manine e che al contatto con il cibo possono farti venire tanto male al pancino”. Si è passati da un ordine ad una spiegazione in cui il “cattivo” della situazione non è più il genitore che esige un determinato comportamento, ma l’animaletto che fa male al pancino.
Si potrebbe continuare all’infinito con gli esempi ma ognuno di voi inventerà quelli che ritiene più adatti alla situazione. 
Il punto fermo deve essere in ogni caso, a prescindere dall’età del bambino, la capacità di SPOSTARE il luogo della legge, di farne un luogo esterno alla famiglia, un luogo altro dove qualcosa è già stato deciso e al quale non solo il bambino ma anche i genitori devono sottomettersi
Vedrete come il bambino sia molto più propenso a seguire le regole dell’Orsetto piuttosto che le regole dettate direttamente dai genitori.
E se il vostro obiettivo è quello di far sì che i vostri figli diventino delle persone oneste, che sappiano accettare i limiti, le regole che la società impone, che sappiano avere rispetto per gli altri, non c’è migliore strategia di quella di “dare l’esempio”. 
Un genitore che segue le regole sarà un ottimo esempio per un bambino che diventerà domani un adulto.

mercoledì 26 ottobre 2016

LA PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA NEL RAPPORTO GENITORI/FIGLI



Il concetto di Profezia che si auto avvera venne introdotto, per la prima volta nelle scienze sociali nel 1948, dal sociologo statunitense Robert K. Merton che la definì “una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità”. A sua volta, Merton si riferì al celebre sociologo americano, William Thomas, che si era già occupato dell’argomento e che aveva postulato quello che è passato alla storia come il Teorema di Thomas: “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”.
Nell’ambito più specifico della psicologia, il ricercatore americano Robert Rosenthal ideò un esperimento di psicologia sociale all’interno di una scuola. Sottopose un gruppo di alunni di una scuola elementare californiana ad un test di intelligenza. Indipendentemente dal risultato del test, riunì alcuni alunni all’interno di un gruppo, comunicando agli insegnati che si trattava di alunni molto intelligenti. Dopo un anno, Rosenthal valutò il percorso scolastico di questi alunni e verificò che tutti avevano migliorato il loro rendimento scolastico divenendo i migliori della classe.
Ciò era avvenuto poiché gli insegnanti, convinti delle abilità e competenze degli alunni, si relazionavano a loro stimolandoli nel loro interesse per gli studi. 
Il modo in cui, quindi, l’insegnante valutava inizialmente l’alunno modificava il suo atteggiamento nei confronti dell’alunno stesso.
In questo caso il risultato era positivo, ma l’effetto Rosenthal (o effetto Pigmalione) può avere anche dei risultati disastrosi se l’assunto di partenza è negativo “questo ragazzo è senza speranza”, “non è motivato”, “non gli piace studiare”, etc. 
In che modo questo concetto sociologico può rientrare nell’ambito della psicologia e riguardare il rapporto genitori/figli?
Quando viene a mondo un bambino, già a partire dal suo concepimento, se non da prima, i genitori iniziano a parlare di lui o di lei (“se avrò un figlio lo chiamerò…...”, “se nascerà una bambina sarà...”, e così via…). Ciò fa sì che il bambino nasca in un bagno di linguaggio, all’interno di un discorso nel quale il bambino è parlato, in cui il bambino infans, che non parla ancora, è inserito nel discorso dell’altro.
Questo discorso è portatore di un desiderio nei confronti del bambino, di aspettative e di frasi che lo concernono che determineranno il modo in cui lui crescerà.
Non è raro ascoltare genitori, nonni, parenti ed amici pronunciarsi al cospetto di un neonato “è bellissimo”, “tutto suo padre”, “tutto sua madre”, “è tranquillo”, “è nervoso” e così via…
Sono queste definizioni che l’altro dà del bambino sulla base di alcune sue percezioni e convinzioni che possono contribuire a quella che abbiamo definito Profezia che si auto avvera.
Ma in che modo può accadere questo?
Nel momento in cui un genitore dà una definizione del bambino: “è buono”, “è nervoso”, “ha un carattere deciso”, “è una peste” fin dai primissimi mesi di vita, il suo atteggiamento nei confronti del bambino stesso sarà influenzato da queste definizioni e dalle convinzioni soggiacenti.
Se la mamma definisce il bambino “disubbidiente” si relazionerà a lui a partire da questa convinzione e metterà in atto dei comportamenti che inevitabilmente metteranno il bambino nella condizione di disobbedire avverando la profezia iniziale, in un circolo vizioso difficile da rompere.
Nella mia pratica con i bambini molte volte mi è capitato di ascoltare dei piccoli che si definivano “monelli”, alla domanda “chi te lo dice?” la risposta è “la mamma, il papà, i nonni, etc.”, cioè l’adulto che si prende cura di lui. Non è il bambino che crede di essere “monello” ma sono gli altri che gli danno questo rimando. 
Quando un bambino si ritrova inserito in una definizione di questo tipo strutturerà la convinzione che sia quello il modo in cui l’altro vuole che sia e si comporterà di conseguenza. Il suo comportamento confermerà la convinzione iniziale dell’adulto e così via in una spirale senza fine.
Queste definizioni, inoltre, impediranno all’adulto di vedere ed ascoltare il bambino, schiacciandolo nella sua soggettività, considerandolo già saputo, conosciuto. La definizione nomina il bambino che si ritrova ingabbiato e spesso impossibilitato ad esimersi dall’essere esattamente come l’altro si aspetta che sia.
Non di rado mi capita di seguire degli adolescenti che per tutta la loro infanzia si sono ritrovati ad essere “bravi bambini”, “i più bravi della classe”, “i migliori” che durante quel periodo di stravolgimento che è l’adolescenza scoprono di essere diversi da come mamma e papà li vogliono, manifestando la loro sofferenza e il loro disagio con comportamenti autolesivi, antisociali, disturbi del comportamento alimentare, etc.

sabato 15 ottobre 2016

COME FARSI ASCOLTARE DAI PROPRI FIGLI SENZA URLARE



Sarà capitato a tutti di perdere la pazienza e di rimproverare il proprio figlio urlando. Perché lo si fa, ci si potrebbe chiedere? Le risposte possono essere le più svariate: perché non ascolta, perché non obbedisce, perché non segue le regole, fa i capricci etc.
Se ci facciamo caso, tutte queste risposte hanno a che fare con il comportamento o con l’atteggiamento del bambino stesso; la causa delle urla dei genitori sta in lui, nel bambino!!
Ma dobbiamo chiederci, invece, “perché a questi comportamenti io reagisco urlando? Cosa di questi atteggiamenti di mio figlio mi tocca a tal punto da dover urlare?”. Ci rendiamo allora conto che la necessità di urlare non è “causata” dal comportamento del bambino, tutt’al più è scatenata da esso, ma cosa ci sta alla base?
Facciamo un passo indietro!
Se è vero che tutti questi comportamenti del bambino portano un genitore a perdere completamente la pazienza, non è altrettanto vero che rimproverare urlando possa risolvere il problema.
Quando un genitore urla questo ha sul bambino più effetti.Innanzitutto un genitore che urla è un genitore che non riesce a padroneggiare la situazione, che ha perso il controllo e che quindi non si mostra più quel punto di riferimento fermo e deciso che il bambino si aspetta e di cui ha bisogno.
Inoltre, se qualcuno ci urla contro in qualche misura ci sta attaccando e quando ci sentiamo attaccati la prima cosa che facciamo è difenderci. Come ci si difende da qualcuno che urla? È semplice, basta non ascoltarlo, “staccare l’audio”; ciò rende quindi inutile e inefficace tutto ciò che viene detto mentre si urla. Se noi urliamo i nostri figli molto semplicemente non ci ascoltano!
Infine, urlare è una manifestazione di aggressività e ciò porta il bambino a pensare che il genitore non gli voglia più bene, porta al senso di colpa e all’umiliazione, tutti sentimenti che spesso producono una forte reazione di rabbia nei confronti dei genitori, creando poi un circolo vizioso.
Allora come fare per rimproverare senza urlare?Di certo ci vuole una grande dose di autocontrollo e di pazienza, ma ci sono dei piccoli accorgimenti che possiamo trovare e mettere in atto.
Quando capita di urlare chiediamoci sempre perché in quel momento lo stiamo facendo? Qual è il comportamento o l’azione del bambino che ci sta facendo urlare? Ad esempio “ha preso i colori e ha scarabocchiato la parete”. A questo punto possiamo chiederci “In che modo questa cosa poteva essere evitata?”, si possono trovare più risposte a questa domanda: “potevo evitare che i colori fossero a portata di mano”, “potevo spiegargli che non si scrive sulle pareti”, “potevo prendere un cartellone, appenderlo alla parete e permettergli di scarabocchiare solo quella parte”, e così via…
Questo esercizio mentale ci aiuterà a pensare sempre di più a lungo termine, cercando di prevedere le possibili conseguenze di determinati comportamenti.
Ma ormai il danno è fatto! E adesso? Possiamo chiederci “A cosa mi serve urlargli contro? E soprattutto a chi serve?”, di certo non serve al bambino, non è urlando che si eviterà il ripresentarsi di quel comportamento, forse serve un po’ di più come sfogo per il genitore, ma è uno sfogo che non è senza conseguenze, così come abbiamo visto in precedenza.
Come fare allora? Non lo si rimprovera? Certo che lo si rimprovera ma facendogli comprendere il perché quella determinata azione non va fatta. Prima del rimprovero, però, c’è un’altra cosa da fare: chiedere al bambino cosa abbia fatto, se comprenda cosa sia accaduto, perché lo ha fatto!Non sono domande inutili, che non servono a nulla, anzi! Sono domande fondamentali, perché la percezione che abbiamo noi adulti non è la stessa percezione che hanno i bambini. Dal punto di vista dell’adulto uno scarabocchio sul muro è un comportamento inaccettabile, è un dispetto, è qualcosa che sporca, ma noi non sappiamo se il bambino lo ha fatto pensando così di far vedere quanto sia bravo alla mamma, o perché gli piacciono i colori o perché è divertente.
Chiedete sempre al bambino di parlarvi di quel determinato comportamento, fate delle domande semplici, che egli possa comprendere ed ascoltate le risposte, la maggior parte delle volte rimarrete sorpresi perché non vi aspettavate quella risposta!
Solo dopo aver ascoltato le ragioni del gesto da parte del bambino potete spiegargli il perché non doveva farlo, quali sono le conseguenze di quell’azione e successivamente comunicare al bambino qual è il prezzo da pagare per quello che ha fatto!
Per ogni azione che si compie si paga un prezzo, ciò farà sì che il comportamento non si manifesterà più! È questo che fa estinguere il comportamento e non le urla!
Pensate a come un bimbo piccolo possa pagare un prezzo simbolico per quello che ha fatto, per esempio fatevi aiutare a pulire (anche se non ne è capace ancora, fate finta che lo stia facendo!), oppure per quel giorno non si potrà andare al parco, etc.
Naturalmente la “punizione” è simbolica, non bisogna arrivare a punizioni eccessive (salti la merenda, non ti faccio vedere più la tv, etc.), anche perché queste spesso vengono date nel momento della rabbia e successivamente non vengono messe in atto proprio perché sono esagerate! E purtroppo nulla di più sbagliato, perché perderete ogni autorevolezza e ogni credibilità agli occhi del vostro bambino. Una volta un bambino in seduta mi ha detto: “io non ho paura delle punizioni dei miei genitori perché tanto l’ho capito che mi minacciano soltanto ma poi non mi puniscono mai!”.
Ed ora torniamo alla domanda che ci siamo posti all’inizio. Quale parte di me così intima e forse anche inconsapevole il comportamento di mio figlio va a toccare al punto da farmi perdere il lume della ragione e farmi cominciare ad urlare?
A questa domanda non c’è una risposta univoca! Ogni genitore ha la sua storia! Ma è di certo un buon esercizio mentale da fare per cercare di conoscerci sempre un po’ di più e cercare di comprendere quanto di noi stessi sia implicato nel rapporto con i nostri figli!

giovedì 13 ottobre 2016

I TERRIBILI DUE! COME GESTIRLI???



Art Tatà si avvale della collaborazione della Dott.ssa Roberta La Barbera, Psicoterapeuta e Psicologa, per organizzare degli incontri di Sostegno alla Genitorialità.
Il primo incontro verterà sui "Terribili Due", cioè su quel periodo della vita del bambino che va dai 18 ai 36 mesi che mette in grande difficoltà i genitori. E' un periodo di oppositività da parte del bambino, che punta a sottolineare la sua volontà e a ribellarsi a quella dei genitori. Vedremo come questo è, invece, un importante momento di crescita per il bambino, che i genitori devono solo imparare a conoscere e a gestire al meglio.

Per informazioni e prenotazioni
Dott.ssa Roberta La Barbera 3452197044 roberta.labarbera71@gmail.com
Claudia Chiaramonte 3927196060 claudia-cla@libero.it

Per visualizzare l'evento clicca qui